Sangue acido, urine alcaline… un caso di acidosi tubulare renale
Per chi come me lavora in un ospedale periferico (Ariano Irpino) che è a circa 100 Km dalla più vicina rianimazione pediatrica è di certo utile far tesoro e memoria del caso del piccolo Luca (nome di fantasia).
Era un giorno di Ottobre quando Luca giungeva nel nostro pronto soccorso per scarsa crescita e graduale recente decadimento delle condizioni generali.
Sintomi di partenza
Il piccolo, di appena 2 mesi, non riusciva a metter peso nonostante svariati tentativi con latte materno e in formula.
Nell’ultima settimana aveva poi anche presentato un vistoso e graduale intorpidimento con sonnolenza e ridotta richiesta di latte.
Tutto ciò condusse giustamente i genitori a rivolgersi in ospedale.
A quell’età la mancata richiesta di latte, specie se da giorni, deve sempre accendere un campanello d’allarme!
Sospetto diagnostico
Essendo questo un sito divulgativo cerco di raccontarvela semplice semplice.
I primi esami fatti mostrarono immediatamente un quadro di acidosi metabolica: pH basso e ridotta riserva di bicarbonato nel sangue.
Noi tutti abbiamo infatti una riserva di bicarbonato nel sangue (come quello da cucina!) che, insieme ad altri meccanismi, ci aiuta a tamponare gli acidi.
Luca aveva poco bicarbonato: ciò voleva dire che o ne consumava troppo oppure lo perdeva da qualche parte.
La causa più frequente di acidosi metabolica in pediatria è di certo la disidratazione.
E in un piccolino la cui madre riferisce che non mangia e dorme tanto, la disidratazione è il primo pensiero che ti viene.
Anche perchè alla visita il piccolo effettivamente appariva disidratato.
La speranza iniziale era dunque che idratandolo il quadro di acidosi si risolvesse.
Dovete sapere che quando il rene funziona bene ed è in buona idratazione, esso riesce a recuperare i bicarbonati dall’urina e passarli al sangue, ripristinandone la riserva.
In tal modo le urine diventano più acide (ma chissenefrega, tanto dobbiamo espellerle!) e il sangue conserva il suo pH ottimale.
E questo è ciò che ci si aspettava idratando Luca, poichè si verifica nella maggior parte dei bambini disidratati.
Ma ore dopo… amara sorpresa!
La brutta sorpresa avvenne però dopo il primo ciclo di idratazione: nonostante gli ingenti liquidi infusi, Luca aveva ancora il pH ematico acido!
E spiazzante sorpresa fu anche scoprire poco dopo che il pH delle urine era invece addirittura alcalino!
In pratica il bimbo non riusciva ad acidificare le urine per salvaguardare il proprio sangue e questo era molto molto strano.
Quando un rene funziona bene, infatti, se hai il sangue acido ti aspetti anche urine molto acide (già di base infatti sono leggermente acide).
Ma Luca aveva addirittura un pH urinario alcalino (7,5-8,0)!
I bicarbonati erano dunque tutti lì. Nelle urine.
E (parentesi tecnica per i colleghi che leggono) il cloro era alto con gap anionico normale, indicando pertanto che non c’erano particolari acidi fissi in eccesso, ma trattavasi di vera e propria perdita di bicarbonati.
A sostenere l’ipotesi diagnostica di un’acidosi tubulare c’era poi la compresenza di nefrocalcinosi ovvero piccoli “calcoletti” renali: quando le urine sono alcaline i sali minerali precipitano infatti più facilmente.
Acidosi tubulare distale
La condizione in cui il rene non riesce a riassorbire bicarbonato dalle urine (e lo disperde) è una malattia genetica rara che si chiama acidosi tubulare e ne esistono varie forme.
Di fronte a simile sospetto la stabilizzazione e l’invio a un centro specialistico per malattie nefrologiche deve sempre essere tempestivo.
L’incalazante decadimento delle condizioni del piccolo impose dunque un trasferimento d’urgenza e un primo passaggio presso la rianimazione pediatrica del Santobono di Napoli.
Ma il ricordo più vivido che ho di quella mattinata è la sensazione di terrore che ci morisse tra le mani. Perchè peggiorava a vista d’occhio.
Grazie al prezioso supporto dei rianimatori arianesi Giovanni Benigni e Angela Iuorio, oltre a quello dei rianimatori del Santobono Anna Dolcini e Claudio Orlando, il bambino è salvo.
Grazie anche al prezioso supporto del collega pediatra Michele Marruzzo che non esitò a precipitarsi in ospedale per consentirmi di dedicarmi completamente al piccolo, il bambino è salvo.
E grazie all’egregio iter diagnostico-terapeutico svolto dai colleghi nefrologi del Santobono Luigi Petruzzelli e Gabriele Malgieri, sotto la guida del primario Carmine Pecoraro, il piccolo ha avviato opportuna terapia specifica, ricevuto conferma genetica della diagnosi ed oggi sta bene.
Gli tocca un po’ di terapia per rinvigorire ogni giorno il suo bicarbonato ematico ed altri sali, ma con la guida dei nefrologi del Santobono ha cominciato a crescere e andare avanti.
Carenza di pediatri in Irpinia e spunti di riflessione
Il vissuto di quella mattina mi porta ad alcune riflessioni sull’importanza di avere l’adeguato numero di medici per ogni turno in ogni struttura.
Se quel bimbo è vivo, infatti, è anche grazie al collega pediatra che, nonostante fosse a riposo dopo giorni di straordinario, accorse spontaneamente in ospedale dove in quel momento ero l’unico pediatra.
Ciò mi “liberò” da altre incombenze ospedaliere, permettendomi di dedicarmi totalmente a Luca.
Mentre assistevo Luca infatti l’eventuale “distrazione” per un altro bambino da pronto soccorso, per un urgenza in sala parto o sala operatoria, per un un’urgenza in reparto, poteva risultare fatale per qualcuno (Luca o altri eventuali bambini urgenti).
“Acrobati” in più luoghi diversi: pronto soccorso, reparto, sala parto, sala operatoria per un cesareo… così da Nord a Sud si lavora in questa Italia sempre più carente di professionisti.
E va detto che in caso di necessità noi medici gli “acrobati” li facciamo anche con piacere.
Come dimostra la recente candidatura al Nobel per la Pace del personale sanitario italiano.
Ma quando poi ti ritrovi a gestire un bambino in pericolo, ti rendi conto che “il medico acrobata” non può e non deve essere la normalità.
E’ rischioso per tutti.
Perchè durante una tuo “salto al trapezio” a cadere potrebbe essere un tuo paziente, non tu.
La carenza di pediatri (e di medici in generale) è un problema ubiquitario su tutta la penisola e che in realtà periferiche talora si esaspera.
A tal proposito chiedo: un bambino di provincia, di periferia, ha o non ha diritto alla medesima assistenza di chi abita in pieno centro metropolitano?
La risposta a questa domanda è ovviamente si.
E posso anche affermare in tutta onestà che la mia ASL ha sempre mostrato grande sensibilità a questa problematica bandendo più volte concorsi o stipulando convenzioni con strutture per il supporto di nuovi colleghi.
Ma purtroppo il problema è a monte: i pediatri mancano e le realtà lavorative periferiche sono in generale “meno attrattive”.
Un accorato appello
Nonostante i concreti sforzi dell’azienda sanitaria nel reperire pediatri, nel momento in cui scrivo quest’articolo siamo solo in 4 a coprire tutti i turni diurni e notturni dell’Ospedale di Ariano Irpino.
Ma questa non è solo la nostra storia: da Nord a Sud sono tantissime le realtà periferiche sguarnite di medici.
E la colpa forse è della decennale programmazione sanitaria fatta di “imbuti formativi” agli ingressi delle scuole di specializzazione.
Concludo dunque speranzoso che queste mie ultime righe possano sensibilizzare la popolazione irpina che segue la mia pagina Facebook al problema della carenza di pediatri ospedalieri qui nella vasta Irpinia.
E mi auguro che, in attesa di nuovi concorsi, il supporto di colleghi di altre strutture ospedaliere disponibili a una convenzione possa presto (ma presto!) darci sostegno.
Dott. Raffaele Troiano
Foto di NatureFriend da Pixabay
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